Contribuzione INPS: minimi retributivi del CCNL inderogabili per la Cassazione

Contribuzione INPSContribuzione INPS: la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 19284 del 2 agosto 2017, torna a parlare del rapporto tra la contribuzione dovuta all’INPS e gli importi dei minimi retributivi del CCNL applicato in Azienda.

In sostanza, la Corte ribadisce che, ai fini contributivi, la base imponibile deve essere individuata prendendo a riferimento la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di settore, a nulla rilevando la retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore che abbia concordato con l’Azienda una sospensione dal lavoro.

 

Il caso concreto riguarda l’opposizione di un’Azienda al verbale ispettivo dell’INPS, con il quale l’Istituto chiedeva il pagamento delle omissioni contributive sulle retribuzioni dovute in base al CCNL di riferimento.

Il datore di lavoro, nel ricorso per Cassazione, adduce due principali motivazioni: l’aver attribuito al verbale ispettivo INPS una valenza probatoria privilegiata e l’errata interpretazione di quanto disposto dall’art. 1 del D. L. n. 338/1989. A quest’ultimo riguardo, l’Azienda contesta che, ai fini contributivi, si sarebbe dovuto prendere a riferimento l’entità della retribuzione effettivamente corrisposta al dipendente, anche alla luce delle sospensioni dal lavoro che erano state di volta in volta concordate tra datore di lavoro e lavoratore.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate entrambe le motivazioni.

In primo luogo, la Cassazione conferma quanto operato dalla Corte di Appello, che ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il verbale ispettivo pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi) restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori.

Quanto al secondo motivo, i Giudici della Cassazione lo riconoscono infondato, in quanto l’impugnata sentenza si è uniformata al principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità secondo cui “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (cosiddetto minimale contributivo), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989, senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (cosiddetto minimo retributivo costituzionale), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre – con conseguente influenza sul distinto rapporto di lavoro – ai fini della  determinazione della giusta retribuzione.

Né è configurabile la violazione dell’art. 39 Cost., alla stregua dei principi espressi con la sentenza della Corte costituzionale n. 342 del 1992, per via dell’assunzione di efficacia “erga omnes” dei contratti collettivi nazionali, essendo l’estensione limitata – secondo la previsione della legge – alla parte economica dei contratti soltanto in funzione di parametro contributivo minimale comune, idoneo a realizzare le finalità del sistema previdenziale e a garantire una sostanziale parità dei datori di lavoro nel finanziamento del sistema stesso“.

 

Fonte: Paghe Facili.

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