Mancata applicazione del CCNL ed Ispezioni

Mancata applicazione del CCNLMancata applicazione del CCNL: l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la circolare n. 3 del 25 gennaio 2018, con la quale fornisce indicazioni operative, ai propri ispettori, circa l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping.

L’ordinamento riserva l’applicazione di determinate discipline subordinatamente alla sottoscrizione o applicazione di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi.

In particolare:

  • ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 in materia contratti di prossimità; eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati” non possono evidentemente produrre effetti derogatori, come prevede il Legislatore, “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ne consegue che il personale ispettivo, in sede di accertamento, dovrà considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.);
  • l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale è indispensabile per il godimento di “benefici normativi e contributivi”, così come stabilito dall’art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006;
  • il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 338/1989 unitamente all’art. 2, comma 25, della L. n. 549/1995.

Fermo restando quanto sopra, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha ritenuto utile arricchire le considerazioni espresse con un ulteriore elemento di particolare rilievo. Trattasi della facoltà, rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva in questione, di “integrare” la disciplina normativa di numerosi istituti.

A tal proposito si ricorda anzitutto che l’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 – recante, tra l’altro, la “disciplina organica dei contratti di lavoro (…)” – stabilisce che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.

Pertanto ogniqualvolta, all’interno del medesimo Decreto, si rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipologie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia.

Ciò può avvenire, a titolo meramente esemplificativo, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato. Ne consegue che, laddove il datore di lavoro abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo che non è quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti derogatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare applicazione. Ciò potrà comportare la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.Lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

 

Fonte: Paghe Facili.

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